Boston, anni Venti. Un immigrato italiano di nome Charles Ponzi conquista le prime pagine dei giornali con un’incredibile promessa: rendimenti del 50% in appena tre mesi, garantiti a chiunque investa con lui. Siamo nel 1920, l’economia del primo dopoguerra è in fermento e Ponzi – nato a Lugo di Romagna nel 1882 – si presenta come un geniale uomo d’affari capace di trasformare i francobolli in una miniera d’oro. In realtà Ponzi è destinato a passare alla storia non come finanziere ma come truffatore: la tecnica che utilizzò per arricchirsi illegalmente su larga scala è diventata così celebre da prendere il suo nome, “schema Ponzi”, simbolo stesso delle frodi piramidali.
Ma chi era davvero Charles Ponzi, come funzionava la sua idea e come riuscì a ingannare decine di migliaia di risparmiatori prima di precipitare rovinosamente?
L’idea iniziale: dai buoni postali allo schema fraudolento
La vicenda di Ponzi affonda le radici in un’intuizione folgorante. Nel 1919 Ponzi ricevette una lettera dalla Spagna contenente un buono di risposta internazionale (in inglese International Reply Coupon, IRC) – un tagliando postale prepagato che il destinatario poteva riscattare nel proprio paese per ottenere francobolli validi per rispondere al mittente.
Ponzi, che fino ad allora ignorava l’esistenza di questi buoni, fiutò un’opportunità: a causa delle svalutazioni monetarie seguite alla Prima guerra mondiale, il valore di riscatto di un buono internazionale negli Stati Uniti superava di molto il costo di acquisto in paesi come la Spagna o l’Italia.
In altre parole, comprando massicciamente questi coupon a basso prezzo in Europa e convertendoli in francobolli statunitensi, si poteva teoricamente realizzare un consistente profitto di arbitraggio. Ponzi calcolò che il rendimento poteva essere addirittura del 400% al netto delle spese.
Forte di questa idea, Charles Ponzi decise di coinvolgere amici e conoscenti: iniziò a raccogliere fondi promettendo l’astronomico tasso del 50% di interesse in 90 giorni – un’offerta fuori da ogni norma che tuttavia, sulle prime, mantenne puntualmente.
Nell’inverno del 1920 fondò una società ad hoc, la Securities Exchange Company, per dare struttura al suo progetto e attirare investitori. I primi finanziatori (inizialmente perlopiù altri immigrati italiani a Boston) ricevettero effettivamente i lauti profitti promessi nei tempi stabiliti, alimentando la voce di un investimento miracoloso e privo di rischi.
Nel frattempo Ponzi si rese conto che il suo piano originale presentava grossi limiti pratici: gli reply coupon internazionali disponibili sul mercato erano troppo pochi e i costi logistici per acquistarli e convertirli in francobolli erodevano buona parte dei margini. Di fronte all’impossibilità di generare profitti reali sufficienti, Ponzi scelse di aggirare il problema seguendo lo schema che aveva già osservato anni prima presso la banca di Montréal dove aveva lavorato.
.Iniziò così a pagare i rendimenti ai vecchi investitori non con utili ottenuti dai francobolli, ma usando direttamente il denaro versato dai nuovi clienti – il classico meccanismo della catena di Sant’Antonio, ovvero uno schema piramidale travestito da investimento.
Un successo fulmineo e denaro a fiumi
All’inizio del 1920 nulla sembrava poter fermare l’ascesa di Ponzi. La voce dei guadagni facili si diffuse rapidamente e sempre più persone affidarono i propri risparmi alla sua Securities Exchange Company. I numeri crescevano a un ritmo vertiginoso: nel febbraio 1920 Ponzi aveva raccolto circa 5.000 dollari, che già a marzo diventarono 30.000, per poi saltare a 420.000 dollari nel maggio seguente.
In estate il flusso di denaro divenne un fiume in piena: Ponzi iniziò a depositare centinaia di migliaia di dollari nella Hanover Trust Bank di Boston, al punto da riuscire ad acquisirne di fatto il controllo, e nel luglio 1920 era ormai milionario.
.Cittadini di ogni estrazione facevano la fila per investire; molti arrivarono a ipotecare la casa pur di partecipare alla promessa di ricchezza, mentre altri reinvestivano immediatamente i profitti ottenuti, alimentando ulteriormente il giro.
Finché nuovi capitali continuavano ad affluire, Ponzi era in grado di onorare le spettacolari cedole pattuite e nulla pareva fuori posto – sulla carta, la sua società mostrava rendimenti impossibili, ma nessuno voleva perdere l’occasione di raddoppiare i propri soldi.
Ponzi, dal canto suo, non lesinava ostentazione. Si presentava in pubblico con abiti elegantissimi, acquistò un’automobile di lusso (una Locomobile, all’epoca tra le più costose) e comprò una villa con piscina riscaldata, simbolo di uno stile di vita sontuoso conquistato in pochi mesi.
La sua spregiudicata abilità oratoria e l’immagine da self-made man di successo gli valsero inoltre ampie coperture sui media locali, contribuendo a rafforzare la sua aura di infallibilità. Nel luglio 1920 il quotidiano Boston Post gli dedicò addirittura un articolo elogiativo in prima pagina, celebrando l’uomo che “raddoppia i soldi in tre mesi”: l’effetto fu quello di attirare nuovi investimenti come mai prima di allora, con fino a 250.000 dollari al giorno versati nelle casse di Ponzi nei giorni successivi alla pubblicazione.
Prime crepe e indagini: il castello crolla
Dietro la facciata scintillante, però, alcuni osservatori iniziavano a farsi domande scomode. Già all’inizio dell’estate, un fornitore insospettito dall’improvvisa ricchezza di Ponzi lo aveva trascinato in tribunale per un vecchio debito: Ponzi vinse la causa, ma l’episodio alimentò i dubbi su come avesse fatto un ex nullatenente a diventare milionario in così poco tempo.
Alcuni investitori, presi dal timore, decisero di ritirare i propri soldi: Ponzi li rimborsò prontamente e con interessi generosi, riuscendo a placare quella prima mini-corsa agli sportelli e a restaurare la fiducia.
Tuttavia, all’interno della redazione del Boston Post la curiosità investigativa non si era spenta. Anzi, pochi giorni dopo l’articolo celebrativo, il quotidiano cambiò tono: il 26 luglio iniziò a pubblicare una serie di inchieste al vetriolo che mettevano in dubbio la sostenibilità dello schema Ponzi.
Il noto analista finanziario Clarence Barron, interpellato dal Post, sottolineò un fatto lampante che era sfuggito ai più: nonostante i profitti dichiarati, Ponzi non aveva mai investito personalmente un centesimo nella sua stessa società.
Inoltre le stime evidenziarono un assurdo squilibrio tra la quantità di buoni postali teoricamente necessari per generare i rendimenti vantati e quelli che risultavano effettivamente in circolazione: per sostenere gli interessi pagati da Ponzi sarebbero serviti 160 milioni di coupon, mentre i dati ufficiali indicavano che solo 27.000 buoni IRC erano stati emessi e scambiati in tutto il mondo.
In pratica, emerse anche ciò che Ponzi già sapeva ma teneva nascosto: considerando le spese logistiche, il margine reale dell’arbitraggio postale era prossimo allo zero.
Le rivelazioni della stampa ebbero l’effetto di scoperchiare la pentola. Nel giro di poche ore scoppiò il panico tra i risparmiatori: una folla di investitori inferociti assediò gli uffici di Ponzi a Boston pretendendo il rimborso immediato dei propri fondi.
Determinato a non perdere la calma, Ponzi fronteggiò la crisi con sorprendente sangue freddo: nel tentativo di dimostrare la propria buona fede, sborsò 2 milioni di dollari in soli tre giorni per soddisfare le richieste di rimborso dei clienti più agitati.
Addirittura si presentò personalmente tra la folla offrendo caffè e ciambelle ai suoi investitori, rassicurandoli che non avevano nulla da temere.
La strategia sortì in parte l’effetto sperato – molti cambiarono idea e decisero di lasciare i soldi affidati a Ponzi – ma oramai le autorità avevano acceso un faro sulle attività della Securities Exchange Company.
All’inizio di agosto 1920, l’edificio di bugie costruito da Ponzi vacillava irrimediabilmente. Un dipendente interno, il responsabile delle pubbliche relazioni della società, decise di vuotare il sacco e raccontare ai giornali ciò di cui era a conoscenza, definendo lo schema di Ponzi una vera “follia finanziaria”.
Il 10 agosto, su mandato del procuratore federale, gli agenti fecero irruzione nella sede della società e nelle banche dove erano depositati i fondi: trovarono registri contabili gravemente deficitari e nessuna traccia del fantomatico tesoro di buoni postali con cui Ponzi diceva di generare profitto
Pochi giorni dopo, il 13 agosto 1920, Charles Ponzi venne arrestato con l’accusa di frode postale e altri reati finanziari.
Il suo impero si sgretolò da un giorno all’altro, lasciando dietro di sé rovine finanziarie e sociali. Secondo le stime finali, nello schema Ponzi avevano investito circa 40.000 persone, per un totale di 15 milioni di dollari dell’epoca (pari a centinaia di milioni di dollari odierni).
Molti dei truffati persero tutti i loro risparmi. Ponzi si dichiarò colpevole di frode e venne condannato a cinque anni di carcere federale; scontata la pena, affrontò altre imputazioni, finendo in prigione più volte nel corso degli anni ’20, fino a essere espulso definitivamente dagli Stati Uniti nel 1934.
L’eredità dello schema Ponzi nella finanza moderna
Charles Ponzi morì in povertà nel 1949, ma il solco da lui tracciato nell’immaginario finanziario collettivo resta profondo. Il termine “schema Ponzi” è entrato nel lessico internazionale per descrivere qualsiasi sistema di investimento fraudolento che paga i rendimenti agli investitori esistenti con i fondi raccolti da nuovi aderenti.
Sebbene Ponzi non sia stato il primo in assoluto a utilizzare uno schema piramidale, il clamore mediatico e l’entità della sua truffa furono tali che il suo nome è divenuto indissolubilmente legato a questo modello di frode.
Purtroppo, la lezione appresa a caro prezzo negli anni Venti non ha impedito il ripetersi di raggiri simili: nel corso del Novecento e oltre si sono registrati numerosi casi di schemi Ponzi in tutto il mondo, dall’Europa all’Asia. Basti pensare che negli anni ’90 circa un sesto dell’intera popolazione della Romania rimase vittima di un gigantesco schema Ponzi locale, mentre in Albania il collasso di varie finanziarie piramidali nel 1997 provocò il caos economico e politico nel paese.
L’eco più clamorosa in tempi recenti si è avuta però nel 2008, quando a New York fu arrestato Bernard Madoff, influente finanziere di Wall Street ed ex presidente del NASDAQ, autore di uno schema Ponzi da 50-65 miliardi di dollari – la più colossale truffa finanziaria della storia moderna, costruita esattamente sul modello ideato da Ponzi.
Madoff, che aveva attirato nel suo inganno investitori istituzionali da tutto il mondo, si dichiarò colpevole e venne condannato a 150 anni di carcere.
Il fatto che ancora nel XXI secolo possano avvenire frodi di tale portata dimostra quanto l’eredità negativa di Ponzi sia tuttora presente: il suo schema resta un monito emblematico nella finanza, ricordandoci i pericoli delle promesse di guadagni facili e la necessità di vigilare contro i sogni finanziari troppo belli per essere veri.